Ora come ora il Blog è un’idea davvero poco originale per esprimere se stessi o gridare qualcosa a qualcuno, ma sembra sia il più efficace. Ed è per questo che è nato “L’Angolo di Fabio”, per dire quello che penso e condividerlo con gli altri. Riflessioni, pensieri e punti di vista…

mercoledì 16 ottobre 2013

Galeotto fu il vagone. (l’incontro)


Stazione di Bari, binario quattro ovest, ore diciotto in punto.
Il treno è sul binario, riesco a vederlo dall’ingresso laterale, con le porte chiuse, tutto spento e alcune persone iniziano ad arrivare. Ci sono anch’io tra queste persone con il mio ipod che riproduce ormai da tempo Chiara Civello. Arrivo al binario e dopo qualche minuto, finalmente, si aprono le porte ed entro cercando il posto migliore, il mio posto migliore -quello di sempre-: terza carrozza, perché solitamente si ferma all’altezza del sottopassaggio della stazione di Santo Spirito; prima fila di destra, dove c’è il posto singolo, perché puoi appoggiare i gomiti sulle gomitiere senza dover chiedere scusa e, a destra, perché dal vetro si riesce a vedere il mare; il corpo deve sistemarsi nella direzione della motrice, perché nelle accelerate, che sono più frequenti e fastidiose, si appoggia la schiena allo schienale.
Mi siedo e guardo il finestrino, sono le diciotto e sette circa quando a un certo punto sento una voce femminile, nella pausa tra una canzone e l’altra, che mi chiede se è libero il posto difronte. Garbatamente e indicando con la mano dico “prego!”, senza badare e continuando a sentire il mio ipod guardando nel vuoto fuori dal finestrino.  Solitamente non me ne curo mai di chi mi siede difronte, ma poi penso: “metti che è una bella ragazza?”.
Lo era.
Capelli neri e raccolti a coda nella parte alta della testa, grandi occhi profondi e di un marrone intenso, la bocca minuta e il collo scoperto è affusolato, liscio e ben distribuito. Ha un vestito bianco con tonalità nere qua e la che parte dal seno (né troppo grande né troppo piccolo, giusto, comunque ben coperto), lasciando scoperte le spalle, e arriva fino alle gambe. Un vestitino che sembra partire come maglietta e si snoda a pantalone all’altezza della vita dove c’è una cinta, stretto al punto giusto che quando ha accavallato le gambe tutte le forme hanno preso una linea dolce e sensuale. E per finire l’opera: i piedi, si vedono appena, scoperti da una scarpa aperta. Ben curata e senza troppo, anzi quasi niente, trucco. Bella e naturale. Anche lei con degli auricolari e presumibilmente anche lei ascolta musica. La guardo in tutta la sua bellezza da capo a piedi.
È un bel po’ che la guardo e lei se ne accorge. Solitamente quando capita distolgo sempre lo sguardo, ma questa volta non ce l’ho fatta e lei si gira dall’altra parte forse infastidita. Io continuo a guardarla finché lei non incrocia nuovamente il mio sguardo e, con tutta la calma di questo mondo, si toglie gli auricolari, mette le mani sulle gambe e mi dice: “perché mi guardi?”
“E?”, mi tolgo gli auricolari anch’io e spengo l’apparecchio.
“Perché mi guardi?”
“Io non la sto guardando, la ammirando!”
“Prego?”
“Sa… le cose belle non si guardano, si ammirano!”
Mi guarda sorpresa, quasi incuriosita e mi dice: “in che senso?”
“Le faccio un esempio: quando si va nella Galleria dell’Accademia di Firenze e ci si ferma davanti al David di Michelangelo, mica ci si ferma a guardare… la si ammira! Perché è una bellezza fuori dal comune”.
“Mi stai dando del David?”. Sorridendo.
“No. Anche perché lei è una donna e, per quello che mi riguarda, mi sono più simpatiche le donne che gli uomini. Poi quello è di marmo, per quanto raffigurato come un giovane è vecchio di qualche secolo ed è alto. E se mettiamo le informazioni al posto giusto: uomo, di marmo, apparentemente giovane e alto, se tanto mi da tanto come proporzioni… diciamo… mi preoccuperebbe stargli vicino come stiamo vicino io e lei. Poi, diciamocelo, dopo tanti anni li, immobile e con tutte quelle donne che lo osservano, il ragazzo potrebbe essere pericoloso avercelo difronte”.
Lei sorride con gusto e “bella la storia, ma smettila di darmi del lei; piacere, Claudia”.
“Fabio, piacere”.
La conversazione fino a quel momento è stata piacevole anche perché lei sorride e quel sorriso è davvero bello. Un sorriso a denti stretti, con la bocca minuta che si apre appena, non volgare e semplice, un sorriso che ti tranquillizza, ma soprattutto: affascina. Affascina tanto.
Lei: “sei di Bari?”
“Sì, da parte di papà. Venezia da parte di mamma. Ma sono nato qui, in questa terra meravigliosa ormai non più mia, aimè”.
“Cosa vuol dire non più mia?”
“Ormai sono anni che non vivo più qui. Mi sono trasferito da tempo a Gorizia, piovosa città dell’estremo nord-est ai confini con la Slovenia”.
“E che fai nella piovosa città?”
“L’imprenditore. Ho una tenuta sulle colline del Collio, zona molto ricca di vigneti, e ho un’azienda che produce vini per tutta l’Italia e nelle zone più importanti del mondo, ho un sacco di dipendenti e un fatturato molto alto”.
“Davvero?” – Mi guarda con un mix di disgusto per quel mio modo di fare e lo stupore. Ma penso più per quel mio modo di fare.
“Certamente… No!” – Scoppia a ridere e sorrido anch’io. “Tu invece Claudia, che fai, dove vivi?”.
“Io abito a Molfetta, ma lavoro a Bari e, contrariamente al tuo pseudo super lavoro, io faccio la commessa in un negozio… semplicemente la commessa” – piccolo ghigno.
Sorrido – “ragazza semplice”.
Si continua a parlare e a sorridere. Mi piace quel suo modo di essere.
La conversazione è interrotta alle diciotto e trentacinque quando un rumore molto fastidioso ci interrompe, il treno è pronto per partire.
E parte.

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